Tenere pulita la fogna digitale: il ruolo dimenticato del moderatore
Capita, a volte, di trovare degli articoli di intrattenimento o dei video sul tema “i lavori peggiori del mondo” e quasi sempre, in queste liste, si trovano gli addetti alla pulizia dei pozzi neri in India: persone che per mestiere stanno immerse negli escrementi.
A leggere un articolo uscito recentemente sull’inserto di Repubblica, viene da pensare al moderatore delle discussioni on-line come una sorta di equivalente morale di questi lavoratori.
Moderare una sezione di commenti su un sito che attira molto traffico significa infatti avere a che fare con il peggio che la comunicazione umana ha da offrire: insulti, minacce, razzismo, misoginia. Le conseguenze sulla mente e sull’umore di chi fa questo lavoro possono essere anche gravi.
Il modello di riferimento per descrivere questo fenomeno (il fatto che le persone tendono a tirare fuori il peggio di sé quando sono on-line, è stato proposto da un ricercatore di nome Suler ed è del 2004. Secondo questo modello, l’anonimato percepito durante la comunicazione on-line, l’invisibilità rispetto al destinatario del nostro messaggio e la mancanza di una risposta immediata da parte dello stesso conducono ad uno stato mentale in cui la consapevolezza della presenza di altre persone e la propria bussola morale vengono meno. Tale fenomeno è definito “effetto di disinibizione on-line”.
Leggendo l’intervista anonima al moderatore che ha parlato con i giornalisti di Repubblica ci si rende conto di quanto la disinibizione on-line produca effetti perniciosi, soprattutto in età adolescenziale, l’intervistato parla infatti della sua esperienza su Ask, un sito di comunicazione anonimo che, proprio per questa caratteristica, attira i più giovani. Quello con cui l’intervistato ha avuto a che fare è allarmante. Si parla di ragazzi che esultano per il tentato suicidio di una coetanea, ad esempio.
Le conseguenze sul moderatore sono pesanti e ricordano quelle del disturbo post-traumatico da stress: disturbi del sonno, ansia generalizzata e la sensazione che quello che si è visto non se ne andrà dalla propria mente, una condizione simile a quella dei poliziotti che lavorano per contrastare lo sfruttamento di minori on-line (Powell et al. 2014).
Allo stato attuale, questo ingrato mestiere è reso ancora più ingrato dal fatto di essere poco pagato e precario. Pare che la tendenza attuale sia poi quella di fare outsourcing in paesi dove il lavoro costa di meno.
Sulla moderazione dei contenuti on-line si assiste regolarmente a discussioni pubbliche che raramente conducono a qualcosa di concreto, una possibile soluzione passerebbe attraverso una migliore legislazione relativa al lavoro di quello che “spala” la marea maleodorante dell’odio e del disagio on-line, rendendolo un lavoro che necessita di una specifica preparazione e dell’assistenza psicologica di un esperto.
Va anche ricordato come, in assenza di un’adeguata selezione del personale, a svolgere questo lavoro possono essere malintenzionati che si trovano ad avere un contatto diretto e prolungato con giovani vulnerabili.
Per intanto, la prossima volta che commentiamo un articolo o un video, ricordiamoci che da qualche parte c’è una persona sottopagata che lo leggerà, e per lui o lei sarà il milionesimo della giornata. Dedichiamogli un momento di pensiero…
Riferimenti
POWELL, CASSEMATIS, BENSON, SMALLBONE, AND WORTLEY, (2014), Police Officers’ Strategies for Coping With the Stress of investigating; Traumatology: An International Journal,, Vol. 20, No. 1, 32–42
Suler J. (2004) The Online Disinhibition Effect, CYBERPSYCHOLOGY & BEHAVIOR, Volume 7, Number 3,